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Saggio critico a cura di Marida Faussone

Critico d'arte - Presidente della Fondazione Eugenio Guglielminetti
Centro di studi teatrali e di Arte Figurativa di Asti

Alfonso Birolo, il pittore e la percettività sensibile.

I. Il Maestro e gli affetti.
Con Alfonso e con Lucetta, nell'ampio studio, a ridosso della vallata boschiva di Saronsella, i pomeriggi scorrevano rapidi, densi di riflessioni e di emozioni, accanto al cavalletto, attorniati da innumerevoli tele accostate alle pareti, a documentare quelle instancabili ore condotte in punta di pennello, a giustapporre nel margine, ove si erge l'ombra lunga e strisciante della sera, quel poco di bruno terrigno, scalfito appena da un viola bluastro, quello stesso che, oltre il vetro della finestra, spuntava all'orizzonte, al calare della luce. Perché di questo si parlava e di innumerevoli altri appunti tecnici, di fronte a ciascun dipinto, ripercorrendone l'attimo creativo, la meditazione sul luogo, sull'atmosfera fenomenica, sul significato della notazione cromatica. Infatti, Alfonso Birolo era approdato a quella maturità compositiva, organica e profonda, soltanto attraverso stagioni esistenziali travagliate, ricche di esperienze linguistiche, mai avventate, ma rigorosamente approfondite.

II. La ricerca compositiva: lo spazio e la natura.
Il decennio Ottanta rappresenta per il cammino compositivo di Birolo un fondamentale rinnovamento stilistico. Conclusi i cicli d'impianto espressionista dedicati al meccanicismo urbano nei primi anni Settanta, Birolo assume una personale metodologia d'indagine sul reale: la strutturazione volumetrica che caratterizza le plastiche aggregazioni di superfici cromatiche dei "monumenti" di rottami automobilistici - ...materia per una poesia dolorosa, ma intensamente umana e pittoricamente efficace ...(Albino Galvano, 1972) - volge gradualmente all'essenzialità nella desolata oggettività delle "attese"' e dei viaggi esistenziali raggelati nello specchiante oblò dell'inconscio - ...nell'alveo di ciò che s'è venuto chiamando "nuova figurazione" (Angelo Dragone, 1972). É il processo conoscitivo della realtà, analizzata per frammenti, profondamente rielaborati dalla mente, giacché l'immagine pittorica risulta volentieri contornata ed inserita in uno spazio semplice, elementare: il cerchio, la losanga la sfera (Luigi Carluccio, 1976). Anche la riappropriazione del reale naturalistico o vegetale, attraverso la sequenza di quaranta dipinti e disegni a china esposti alla galleria milanese "Il Pavone" nel marzo 1973, si evidenzia mediante richiami- folgorazioni- moniti di una realtà "altra" a cui ancorarsi (Mario Contini), nella dimensione metafisica di uno spazio in cui presenze ed oggetti assumono significati ermetici, allusivi, in una misteriosa sospensione atemporale. Nelle sequenze pittoriche di quegli anni, Marziano Bernardi intuisce come una specie di allusività a un racconto sospeso tra timide domande e risposte vaghe, così come Paolo Levi ("Avanti" 1976) coglie l'amore per l'essenziale, dove il ritmo è ancora più lento in un'atmosfera serenamente sospesa... Ma la negazione circoscritta dello spazio opprime il respiro del pittore, quanto l'inquietudine dell'animo ottenebra il palpito dell'ispirazione poetica: così, intorno al 1977-1978, si avvia quel rabdomantico peregrinare di Birolo "a ritroso", attraverso le radici della sua esistenza, le colline della sua infanzia, la terra delle origini, l'alveo della Natura consolatrice.

Sai di Pavese, di Fenoglio e sai di Gozzano… Conosci il mezzogiorno assolato ma anche la mezzanotte dell' ombre lunghe, gli inverni che paiono non finire per esultare di più quando la primavera s'annuncia con le gemme sulle piante. Di queste cose è intrisa la tua pittura, per questo sei artista e non hai bisogno di scuole e di maestri da imitare… così scrive nel 1979 Davide Lajolo all'amico Birolo in una lettera, riprodotta in catalogo per la personale dello stesso anno alla galleria torinese "La Cittadella", una frequentazione abituale, dopo l'esordio espositivo nella Sala della Gazzetta del Popolo, alla 113° Esposizione Nazionale della Promotrice Belle Arti di Torino (1956), ed i premi successivi alla 52° Permanente di Milano ed al Piemonte Artistico e Culturale di Torino.
In quell'integrità di linee e di timbri, si rivela ad Alfonso Birolo l'autentica linfa della percezione naturale: la sua vocazione pittorica, la lirica purezza dell'emozione che filtra la realtà delle cose, trasfigurandone alla luce dell'intelletto le forme, restituendone al rigore compositivo l'essenza schietta delle superfici, ricreandone anzi, nel rigore della visione, la simmetrica fluidità delle architetture collinari, la complessa profondità della veduta, alla vibratile effrazione della luce.
Si consolida dunque la poetica di Birolo in quell'ideale trasposizione dell'entità naturale nell'accorato ascolto del respiro cosmico: Sei tornato te stesso, senza rifrazioni altrui, senza il timor panico di non saper rispettare le regole estetiche. Hai così ritrovato il tuo grumo di poesia, l'hai fatto germogliare col tuo fiato ed ora gli albicocchi splendono sotto il sole annota ancora Davide Lajolo nel commento epistolare ai trenta dipinti esposti nel gennaio del 1979 a "La Cittadella" di Torino. Agli albori degli anni Ottanta, la ricerca espressiva di Birolo si rigenera all'osservazione della natura; alle soglie della maturità artistica ed esistenziale, la sua pittura si vivifica, giorno dopo giorno, in questa concezione di rinnovata adesione alla misura spirituale che diviene codice percettivo, linguaggio di forma e colore.
Aspirazione interiore, indicibile con le parole, fuggevole alla rappresentazione pittorica, è il suo vagare lungo la campagna, cogliere oltre i campi le partiture prospettiche, tracce della memoria al trascolorare della luce, ma lineamenti essenziali, sentieri e valori, all'orientamento dell'animo e della mente.
L'equilibrio costruttivo delle superfici, la perizia coloristica lo sorreggono in sempre più complessi cicli pittorici; la stima e l'amicizia dello studioso Pier Carlo Santini lo sollecitano ad alcuni soggiorni in Toscana, ad approfondire l'intensità tonale della tradizione paesaggistica dell'area centrale, provvida di testimonianze che, dall'età rinascimentale al tardo Ottocento, hanno offerto soluzioni di singolare sobrietà compositiva, problematica tecnico-stilistica che maggiormente coinvolge la ricerca pittorica dì Birolo.
Dall'inclinazione lirica allo studio luministico scaturiscono le sequenze fluviali dedicate all'Arno e gli studi sulle folte quinte vegetali dai verdi smaglianti, esposti alla galleria "Forni" di Bologna (1985): la declinazione spaziale si avvale di un impercettibile equilibrio di accordi tonali, di vibrazioni cromatiche messe a fuoco da quella sua pittura pulviscolare che non ricusa l'emergere del dettaglio nei vicini, ma neppure si svitalizza nei fondi delle ultime nuvole all'orizzonte (Pier Carlo Santini).
L'intento pittorico di Birolo si profila ormai tenacemente insito in quel valore luministico, che ora muove la materia pittorica, la scalza, le imprime una vibrazione costante e gli dà bagliori, corposi ed intensi (Luigi Carluccio, 1982) e di quella conquista si alimenta tutto il restante cammino compositivo della maturità creativa, senza incertezze, senza cedimenti, poiché governata da autentica vocazione.

III. Il dramma dell'esistenza: la figura umana e la quotidianità.
Quando ormai l'equilibrio compositivo vive del proprio rigore, nel dipinto affiora la figura umana, valenza plastica nello spazio ed insieme presenza palpitante del farsi storia individuale nel frammento quotidiano. Tra le prime prove, in Spazio e condizione umana (1982) Birolo affronta su sommesse quinte d'interno l'energia costruttiva della figura nella sua tensione introspettiva, così come in spazi aperti, è il paesaggio a rifrangere sulle figure pacate suggestioni, mentre in opere più recenti, sul finire del decennio Ottanta, l'azione vissuta si fa dramma, visione allusiva o sogno d'implicazione surreale.
Ritratti e studi di figura ricompongono un mosaico psicologico vivido ed interessante della società contemporanea: suggestioni di un dettato che non perde mai di vista l'uomo, le sue inquietudini, le sue tragiche verità e le denunce di un consumismo talvolta sfrenato, di un'esibizione di potere che tradisce sentimenti e incontri e rapporti (Angelo Mistrangelo, 1989).
La civiltà contadina ed il mondo agreste emergono nella lucida analisi di Birolo con spietata nitidezza: la natura, che egli vagheggia, da un canto permane come immutabile linfa generosa, non sempre immune da desolanti incuranze che il progresso tecnologico produce (le sequenze degli "alberi" mutilati o il disilluso sogno delle "isole" lontane e romite ), mentre la tradizione contadina pare perseguire nel suo radicamento ancestrale un'ostinata emarginazione dai ritmi e dagli usi della contemporaneità. Disegni a matita, a china e bozzetti, conservati nello studio, testimoniano gli innumerevoli studi di figura, spesso dal vero, talvolta fantasticamente rielaborati, che Birolo concepisce per la creazione pittorica delle tavole per i carri allegorici del Carnevale locale, un profondo segno della fedeltà alla sua terra. Appunto, in quei bozzetti, più che nelle sequenze compiute, sì avvertono la sua attenta compenetrazione psicologica, l'abilità espressiva, la potenza evocativa e surreale di interpretazione della tipologia somatica e delle caratteristiche antropologiche di ciascun ritratto.
La piacevolezza di un iris, di un papavero, di una begonia, di un pruno si rivela un trabocchetto, perché Birolo conosce e lavora sull'inganno della superficie, sa quanto contrasto e lotta comporti la bellezza, che groviglio sì cela dietro il fiorire della natura. Per contrasto in certi volti contadini, un po' fissi, ebeti, mostruosi, si potrebbe leggere una natura pacificata, una pietà interiore, conquistata al prezzo di una dura lotta che ha lasciato in superficie i suoi segni, le sue ferite, ma che si porta dentro la pace di un tramonto, di una luce affievolita (Nico Orengo, 1995).
Lungo il decennio Novanta, la pittura di Birolo rivela sperimentazione costante nella depurazione linguistica, nella tensione all'essenzialità: dalla mostra antologica ordinata al Palazzo della Regione in Torino nel 1989 agli incontri torinesi, nelle gallerie "Arte Club" (1988 , 1991), "Fogliato" (1982, 1989, 1994, 1997) e "Micrò" (1984, 1986, 1991, 1994, 1996), alle personali ordinate a Pinerolo presso la galleria "Losano" (1987,1995), a Susa presso il Centro Artistico Culturale "del Ponte" (1996), ad Asti nelle sale della galleria "San Pietro" (1996).
É il tempo della contemplazione a scandire le certezze, l'appagamento di un'intuizione colta e trasfigurata sulla tela, oltre la fisicità fenomenica del mutare delle stagioni, dello scorrere delle ombre sul mistero naturale ...I soggetti paesaggistici possono anche essere sempre gli stessi, le colline che vede dalla sua casa, il melo dell'orto la clematide rosa; ma sulla tela sono ogni volta una cosa diversa e nuova, secondo l'ora e la stagione, la luce del cielo e quella dell'anima. Il dipinto è un paesaggio dell'anima, espressione interiore, qualche volta l'idillio ritrovato, più spesso la nostalgia dell'idillio, tristezza, mistero (Laura Mancinelli, 1989).
Sono dunque spazio cosmico, universale e tempo interiore, da cui paiono distare ormai il dramma espressionista dell'urbanesimo quotidiano così come la pagina colloquiale del vero domestico; la dimensione della maturità pittorica indaga con tenace fermezza la luce e le sue prismatiche effrazioni sulla veduta: ..Essa è l'accidente che frantuma l'ottusità compatta della materia restituendo sotto specie di schegge, tacche, coriandoli, molecole luminose (variamente assorbenti e riflettenti luci); e insieme il filo che ritrova drammaticamente e felicemente l'unità della materia saturando ogni interstizio, ricucendo ogni ferita, riducendo le distanze a una contiguità resa continua dalla coscienza... (Pino Mantovani, 1994).
In occasione della mostra antologica promossa dall'Amministrazione Comunale di Alessandria ed allestita presso il Complesso Conventuale di San Francesco nell'aprile 1999, viene edita la monografia Alfonso Birolo, arricchita da apparati che ne testimoniano le stagioni creative e la fortuna critica: alla Natura, topos dell'animo e della mente, in cui si filtrano la reminiscenza e l'emozione visiva, Birolo dedica sequenze profondamente evocanti:... è il diaframma, fra illuministico e protoromantico, che un secolo e mezzo prima Gaspar David Friedrich interponeva, nell'età di Kant e di Goethe, fra il microcosmo del suo sentimento individuale e l'ordine simbolico del macrocosmo naturale animato dalla luce con una modalità accentuata dalla precedente organizzazione ottica delle forme urbane, ma che rimane anche per il futuro il fondamento delle sue vedute naturali - ma spesso direi meglio - visioni naturali (Marco Rosci).
Una seconda mostra antologica viene allestita presso Palazzo Robellini ad opera dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Acqui Terme: il soggetto monotematico scelto è la composizione in interno che Birolo coltiva fin dagli esordi, in ascendenza al naturalismo ottocentesco piemontese e lombardo, ed in parallele esperienze figurali e spaziali talora inclini alla suggestione metafisica, evolve un singolare linguaggio analitico, apparentemente aderente alla veridicità. Nella quiete dello studio, su candidi lini si raccolgono pannocchie e tralci d'uva, cesti di cachi e susine, vasellame domestico ed oggetti, mentre la luce naturale, filtrando dalle ampie vetrate, compie il suo prodigio, distillando preziose rifrazioni sotto il magma timbrico, vivido e terso, ma variegato di inattese gamme luminescenti.
Complice e misurato, Il colloquio con la luce, svela liriche trasfigurazioni, in cui l'essenziale composizione spaziale e l'emozione cromatica si accordano alla minuziosa lucidità del botanico, in una suggestione sospesa, evocante segreti incanti.
Durante i primi cinque anni del Duemila, il lavorio compositivo di Birolo concepisce sequenze pittoriche organiche tese ad offrire ogni volta un arricchimento, un'immersione più profonda e rischiosa nell'universo poetico esplorato: Birolo reinventa il paesaggio mediante piccole pennellate solari, verdazzurre, bianche che costituiscono tronchi e radure, chiome d'alberi e sprazzi di cielo .(Gian Giorgio Massara, 2003).
Si dipanano così le grandi tele dedicate a paesaggi percorsi dal vento, nelle terse chiarità primaverili, le nubi enfie e metamorfiche in cui si rapprendono e si sfilacciano i sogni e le amarezze degli uomini, di quei piccoli viandanti che si avventurano, affannati, con la vecchia bicicletta, lungo l'erta silenziosa della collina a scoprire il respiro segreto della Creazione, la verità dell'esistenza.
Questo indugiare sul crinale del poggio, per cogliere le incidenze più capricciose del tramonto o per trattenere l'ultimo raggio infuocato, tra le chiome degli alberi del giardino, è la poesia autentica del pittore di Saronsella, Alfonso Birolo, una sensibilità antica che sapeva commuoversi all'ovidiano amore di "Filèmone e Bàuci", l'operoso Maestro della tradizione per la lirica immaginazione contemporanea.

Asti, 26 febbraio 2008.

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Ultimo aggiornamento:  21.03.2008 .